Una sera con Gianni Berengo Gardin.
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Una sera con Gianni Berengo Gardin.
Prima di spostare questo argomento nella sezione "Consigli di lettura e visione" vi propongo questo “Talk Show” realizzato nei locali di un noto negozio milanese durante una serata culturale a cui sono presenti, oltre al maestro del titolo, grossi nomi della fotografia nazionale: Uliano Lucas, Ivo Saglietti, Renato Corsini (direttore del Macof di Brescia), Giuseppe Vitale (membro del disciolto Gruppo Fotografico Leica), Maurizio Garofalo (giornalista) ed altri.
Vi dico subito che il mio giudizio su quanto ho sentito è negativo, ma vi invito a guardarlo ugualmente, poi direte la vostra.
https://www.youtube.com/watch?v=8vcsyoboMgo
Qui dico la mia: malgrado il titolo, la serata parte subito parlando, protagonista Lucas, di Robert Capa, della Normandia e della fine del fotogiornalismo. Segue un deprimente, secondo me, intervento di Renato Corsini (che ha ospitato la nostra mostra nel 2017 e che abbiamo comunque ampiamente ringraziato) sul nonsenso e sulla futilità dei giovani fotografi che si ispirano ai maestri come GBG al giorno d’oggi, definendoli fuori contesto e fuori dal tempo.
Spero che si riferisca solo alla fotografia commerciale, quella che deve dare da vivere al fotografo, e non per esempio, a quella amatoriale.
Solo Saglietti abbozza una replica in senso contrario.
Trovo insopportabile quello che dice, sempre Corsini, sulla stampa digitale definendola “poster”, “litografia” (a partire dal minuto 27). Cade nella trappola di considerare “vera fotografia” solo quella che esce da una camera oscura, raro e prezioso oggetto se confrontato, su questo concordo, con l’alluvione di immagini sui monitor e i display da cui siamo sommersi oggi.
Insomma secondo lui non ha senso ispirarsi ai maestri della vecchia scuola, i tempi sono cambiati, ma guai a stampare con un flusso di lavoro moderno: “Ogni copia è uguale all’altra, in camera oscura nessuna copia è uguale all’altra”.
Ma se è proprio quello che hanno inseguito tutti i fotografi da quando esiste quest’arte!
Io ci vedo una clamorosa contraddizione.
Comunque il discorso casca sempre sul fotogiornalismo. E non c’è da stupirsi, data la presenza dei personaggi in sala.
La seconda parte è più piacevole, Berengo Gardin parla della sua formazione culturale, della necessità di conoscere l’opera dei maestri, di sapere prima di tutto cosa si vuole fotografare.
Si scalda un po’ però quando uno del pubblico chiede come mai sia così rigido nei confronti della post-produzione. Poi racconta un po’ della sua storia, di come ha cominciato (ascoltata altre volte, per carità), ma aggiunge anche qualche aneddoto interessante, per esempio del suo litigio con Doisneau.
Il tutto intervallato dalla visione delle sue stupende fotografie. Non è piaggeria, le trovo veramente struggenti, mi parlano del paese in cui sono cresciuto, che oggi è scomparso. Quelle foto sono irripetibili, tutto è cambiato, soprattutto nella gente, ma questa, come si dice, è un'altra storia...
Vi dico subito che il mio giudizio su quanto ho sentito è negativo, ma vi invito a guardarlo ugualmente, poi direte la vostra.
https://www.youtube.com/watch?v=8vcsyoboMgo
Qui dico la mia: malgrado il titolo, la serata parte subito parlando, protagonista Lucas, di Robert Capa, della Normandia e della fine del fotogiornalismo. Segue un deprimente, secondo me, intervento di Renato Corsini (che ha ospitato la nostra mostra nel 2017 e che abbiamo comunque ampiamente ringraziato) sul nonsenso e sulla futilità dei giovani fotografi che si ispirano ai maestri come GBG al giorno d’oggi, definendoli fuori contesto e fuori dal tempo.
Spero che si riferisca solo alla fotografia commerciale, quella che deve dare da vivere al fotografo, e non per esempio, a quella amatoriale.
Solo Saglietti abbozza una replica in senso contrario.
Trovo insopportabile quello che dice, sempre Corsini, sulla stampa digitale definendola “poster”, “litografia” (a partire dal minuto 27). Cade nella trappola di considerare “vera fotografia” solo quella che esce da una camera oscura, raro e prezioso oggetto se confrontato, su questo concordo, con l’alluvione di immagini sui monitor e i display da cui siamo sommersi oggi.
Insomma secondo lui non ha senso ispirarsi ai maestri della vecchia scuola, i tempi sono cambiati, ma guai a stampare con un flusso di lavoro moderno: “Ogni copia è uguale all’altra, in camera oscura nessuna copia è uguale all’altra”.
Ma se è proprio quello che hanno inseguito tutti i fotografi da quando esiste quest’arte!
Io ci vedo una clamorosa contraddizione.
Comunque il discorso casca sempre sul fotogiornalismo. E non c’è da stupirsi, data la presenza dei personaggi in sala.
La seconda parte è più piacevole, Berengo Gardin parla della sua formazione culturale, della necessità di conoscere l’opera dei maestri, di sapere prima di tutto cosa si vuole fotografare.
Si scalda un po’ però quando uno del pubblico chiede come mai sia così rigido nei confronti della post-produzione. Poi racconta un po’ della sua storia, di come ha cominciato (ascoltata altre volte, per carità), ma aggiunge anche qualche aneddoto interessante, per esempio del suo litigio con Doisneau.
Il tutto intervallato dalla visione delle sue stupende fotografie. Non è piaggeria, le trovo veramente struggenti, mi parlano del paese in cui sono cresciuto, che oggi è scomparso. Quelle foto sono irripetibili, tutto è cambiato, soprattutto nella gente, ma questa, come si dice, è un'altra storia...
Spesso quello che cerchi è dentro di te... oppure nel frigo!
http://www.photomaz.com/
https://www.instagram.com/photomaz59/
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- Sergio Frascolla
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Re: Una sera con Gianni Berengo Gardin.
Un interessantissimo talk show, forse più sociologico che fotografico.
Inevitabile secondo me la preclusione dei Presenti nei confronti del digitale, che di fatto ha inflazionato talmente il loro Lavoro , il loro mondo che non c'è più.
Ma è il tema che lega cultura, passione per una fotografia che serva ad un ideale, anche politico, che personalmente mi ha più colpito e interessato.
Del mondo dei sefie cosa volete che rimanga? Faranno la fine dei coriandoli in quaresima, rotolando via dalle nostre memorie, corporee e non, per mancanza di spazio , utile per qualcosa di più alto, di migliore perchè non fine a sé stesso.
Ovviamente il supporto è a mio parere del tutto ininfluente alla resa ( tanto per non dimenticare Wata......)
Siamo noi a dover essere onesti, etici, anche fotografando.
Ma dovrebbe essere la conseguenza e non una semplice scelta professionale.
Grazie davvero per la condivisione.
Inevitabile secondo me la preclusione dei Presenti nei confronti del digitale, che di fatto ha inflazionato talmente il loro Lavoro , il loro mondo che non c'è più.
Ma è il tema che lega cultura, passione per una fotografia che serva ad un ideale, anche politico, che personalmente mi ha più colpito e interessato.
Del mondo dei sefie cosa volete che rimanga? Faranno la fine dei coriandoli in quaresima, rotolando via dalle nostre memorie, corporee e non, per mancanza di spazio , utile per qualcosa di più alto, di migliore perchè non fine a sé stesso.
Ovviamente il supporto è a mio parere del tutto ininfluente alla resa ( tanto per non dimenticare Wata......)
Siamo noi a dover essere onesti, etici, anche fotografando.
Ma dovrebbe essere la conseguenza e non una semplice scelta professionale.
Grazie davvero per la condivisione.
Sergio Frascolla.
Louis, credo che questo sia l'inizio di una bella amicizia
Wetzlar 2011, io c'ero !
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Re: Una sera con Gianni Berengo Gardin.
Stare ancora a discutere se sia "vera fotografia" quella analogica piuttosto che quella digitale, olografica o ai cristalli di Dilitio (mi sia concessa una citazione dall'universo di Star Trek) lo trovo particolarmente deprimente, tanto più in bocca a persone che alla fotografia hanno dato tanto (con la sola eccezione di GBG che, alla sua età e con i suoi trascorsi può dire quello che vuole... ).
La fotografia è testimonianza di un certo periodo e viene fatta con i mezzi di quel dato periodo (o anche con quelli del periodo precedente, se ci va...).
Punto.
Chissà se fra i pittori delle rupestri di Altamira c'era la fazione di quelli che propendevano per colori esclusivamente vegetali e quella che invece sosteneva esclusivamente quelli di origine minerale...
La fotografia è testimonianza di un certo periodo e viene fatta con i mezzi di quel dato periodo (o anche con quelli del periodo precedente, se ci va...).
Punto.
Chissà se fra i pittori delle rupestri di Altamira c'era la fazione di quelli che propendevano per colori esclusivamente vegetali e quella che invece sosteneva esclusivamente quelli di origine minerale...
- Sergio Frascolla
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Re: Una sera con Gianni Berengo Gardin.
Ci puoi scommettere il lux....
Sergio Frascolla.
Louis, credo che questo sia l'inizio di una bella amicizia
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- albertospa
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Re: Una sera con Gianni Berengo Gardin.
Sentire parlare tutti quei bei nomi in quel modo mi ha messo molta tristezza. Meglio le loro foto di un tempo. Unico, flebile, anelito di vita lo mostra Ivo Saglietti.
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Re: Una sera con Gianni Berengo Gardin.
Una chiacchierata in libertà di anziani leoni che hanno combattuto le loro battaglie in periodi diversi e certamente non più facili di quelli odierni. Dobbiamo ammirare cosa hanno fatto e le fotografie che hanno prodotto, senza dimenticare che parlano di fotogiornalismo e non della fotografia in generale. Il più anziano 90 anni, il più giovane (a parte Maurizio Garofalo) 65.
Che oggi non abbia senso fare i "berenghini", cioè imitare le fotografie che loro hanno già fatto così bene è completamente vero, come è anche vero che le loro fotografie, riproposte, non hanno alcun senso oggi per un photoeditor o per una pubblicazione. Loro sono "autori" ed in quanto tali conferiscono "autorevolezza" alle loro opere. Ma un giovane deve trovare strade diverse, moderne e innovative, come hanno fatto loro quando si sono fatti strada nella loro epoca. Per questo dicono quel che dicono e non possono indirizzare un giovane: la loro esperienza è di altri tempi.
Una cosa che dice Berengo Gardin è e rimane vera: "non esco mai a fotografare senza avere un progetto in testa".
Che oggi non abbia senso fare i "berenghini", cioè imitare le fotografie che loro hanno già fatto così bene è completamente vero, come è anche vero che le loro fotografie, riproposte, non hanno alcun senso oggi per un photoeditor o per una pubblicazione. Loro sono "autori" ed in quanto tali conferiscono "autorevolezza" alle loro opere. Ma un giovane deve trovare strade diverse, moderne e innovative, come hanno fatto loro quando si sono fatti strada nella loro epoca. Per questo dicono quel che dicono e non possono indirizzare un giovane: la loro esperienza è di altri tempi.
Una cosa che dice Berengo Gardin è e rimane vera: "non esco mai a fotografare senza avere un progetto in testa".
- ferroandrea
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Re: Una sera con Gianni Berengo Gardin.
Caro Michele,Michele Azzali ha scritto: ↑mar feb 18, 2020 2:21 amPrima di spostare questo argomento nella sezione "Consigli di lettura e visione" vi propongo questo “Talk Show” realizzato nei locali di un noto negozio milanese durante una serata culturale a cui sono presenti, oltre al maestro del titolo, grossi nomi della fotografia nazionale: Uliano Lucas, Ivo Saglietti, Renato Corsini (direttore del Macof di Brescia), Giuseppe Vitale (membro del disciolto Gruppo Fotografico Leica), Maurizio Garofalo (giornalista) ed altri.
Vi dico subito che il mio giudizio su quanto ho sentito è negativo, ma vi invito a guardarlo ugualmente, poi direte la vostra.
https://www.youtube.com/watch?v=8vcsyoboMgo
Qui dico la mia: malgrado il titolo, la serata parte subito parlando, protagonista Lucas, di Robert Capa, della Normandia e della fine del fotogiornalismo. Segue un deprimente, secondo me, intervento di Renato Corsini (che ha ospitato la nostra mostra nel 2017 e che abbiamo comunque ampiamente ringraziato) sul nonsenso e sulla futilità dei giovani fotografi che si ispirano ai maestri come GBG al giorno d’oggi, definendoli fuori contesto e fuori dal tempo.
Spero che si riferisca solo alla fotografia commerciale, quella che deve dare da vivere al fotografo, e non per esempio, a quella amatoriale.
Solo Saglietti abbozza una replica in senso contrario.
Trovo insopportabile quello che dice, sempre Corsini, sulla stampa digitale definendola “poster”, “litografia” (a partire dal minuto 27). Cade nella trappola di considerare “vera fotografia” solo quella che esce da una camera oscura, raro e prezioso oggetto se confrontato, su questo concordo, con l’alluvione di immagini sui monitor e i display da cui siamo sommersi oggi.
Insomma secondo lui non ha senso ispirarsi ai maestri della vecchia scuola, i tempi sono cambiati, ma guai a stampare con un flusso di lavoro moderno: “Ogni copia è uguale all’altra, in camera oscura nessuna copia è uguale all’altra”.
Ma se è proprio quello che hanno inseguito tutti i fotografi da quando esiste quest’arte!
Io ci vedo una clamorosa contraddizione.
Comunque il discorso casca sempre sul fotogiornalismo. E non c’è da stupirsi, data la presenza dei personaggi in sala.
La seconda parte è più piacevole, Berengo Gardin parla della sua formazione culturale, della necessità di conoscere l’opera dei maestri, di sapere prima di tutto cosa si vuole fotografare.
Si scalda un po’ però quando uno del pubblico chiede come mai sia così rigido nei confronti della post-produzione. Poi racconta un po’ della sua storia, di come ha cominciato (ascoltata altre volte, per carità), ma aggiunge anche qualche aneddoto interessante, per esempio del suo litigio con Doisneau.
Il tutto intervallato dalla visione delle sue stupende fotografie. Non è piaggeria, le trovo veramente struggenti, mi parlano del paese in cui sono cresciuto, che oggi è scomparso. Quelle foto sono irripetibili, tutto è cambiato, soprattutto nella gente, ma questa, come si dice, è un'altra storia...
trovo il tuo commento più che appropriato, e mi unisco al tuo giudizio
Saluti Andrea
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"We, and our images, are made of the same stuff that dreams are made of"
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