La saga di SANTE: CORPI LEICA R

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Emilio Vendramin
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La saga di SANTE: CORPI LEICA R

Messaggio da Emilio Vendramin » mer gen 29, 2014 7:16 pm

testo di SANTE CASTIGNANI

LEICA REFLEX: Luci e ombre di una principessa che non divenne regina.
La meravigliosa serie Leicaflex.

Nel 1964, in pieno boom dei sistemi reflex Nikon, Canon, Asahi Pentax, Topcon eccetera, senza troppi clamori, la Ernst Leitz di Wetzlar mise al mondo la propria creatura secondogenita; concepita forse più per calcolo che per amore, ma non per questo priva degli stessi geni qualitativi che avevano permesso alla serie telemetrica (vite prima, e da circa un decennio anche la baionetta M) di conquistare il primo posto assoluto nel cuore degli appassionati di tutto il mondo.

Già da allora la Leitz aveva scelto la via del "tardi ma bene", di presentarsi cioè sul mercato con prodotti apparentemente superati, in virtù di soluzioni tecnologiche non troppo innovative, ma proprio per questo ampiamente collaudate. La Leicaflex originaria, ad esempio, non disponeva della lettura TTL (che già vantava ad esempio la Pentax Spotmatic), ma di una semplice cellula CDS esterna, inadatta a sfruttare al massimo le potenzialità del reflex monobiettivo (lettura con luce effettiva in ogni situazione anomala, come la macro, i tele molto lunghi, foto al microscopio, e così via); in compenso però la macchina esibiva straordinarie doti costruttive: il mirino era dotato di una luminosità impensabile, e la meccanica rispondeva con una precisione e dolcezza mai sperimentate prima su nessuna altra reflex. Gli obiettivi con cui la Leicaflex era stata presentata erano i seguenti quattro:

-Elmarit 35/2,8
-Summicron 50/2
-Elmarit 90/2,8
-Elmarit 135/2,8

Il primo è uno dei rarissimi insuccessi ottici della Leitz, un obiettivo tangibilmente al di sotto della tradizione qualitativa della casa (ma si riscatterà ampiamente nella seconda e terza versione, di altissimo livello); gli altri tre sono altrettanti gioielli che vanno a costituire i primi mattoni di uno straordinario monumento alla qualità.

Quattro anni, e la Leitz mette a tacere le critiche sull'assenza del TTL. Nasce la magnifica SL, e questa volta alla macchina non manca davvero nulla (anche se i soliti critici ad oltranza se la presero con il pentaprisma fisso, a differenza delle nipponiche reflex "a sistema"); ma si trattava di attacchi strumentali, perché in realtà la SL raccoglieva in una veste armoniosa e semplice tutto quanto potesse occorrere sia al professionista (escluso forse il reporter d'assalto), sia al più evoluto degli amatori. La macchina ebbe una accoglienza ottima, specie se rapportata al prezzo di acquisto (circa il doppio di una NIKON FTN o di una CANON F1), e per questo motivo trovare una SL sul mercato dell'usato è relativamente facile e conveniente.

Assieme alla SL, o subito dopo, vengono presentati alcuni nuovi obiettivi:

-Super Angulon 21/4
-Summicron 35/2
-Summilux 50/1,4
-Summicron 90/2
-Macro Elmar 100/4
-Elmarit 180/2,8

Tutti meravigliosi!

La saga si conclude nel 1976, quando dopo soli due anni di presenza sul mercato esce di scena la SL2, ambiziosa epigone di tanta tradizione; la macchina era stata infarcita di piccole novità e miglioramenti non così sostanziali, tanto da complicarla in modo forse superfluo. La limitata diffusione ne rende l'acquisto sull'usato molto più oneroso che non la SL.

Per il momento, tiriamo il sipario su questa frettolosa disamina, e veniamo a trarre una prima pragmatica conclusione.

La mia tesi nell'affrontare il tema oggetto di questo post, è quella per cui oggi questo sistema rappresenti il best buy del mercato: la bandiera di questa idea non può essere che la Leicaflex SL, un apparecchio che corredato di un 50/2, in condizioni eccellenti, si trova oggi a prezzi risibili. Nessun altro oggetto fotografico di pari prezzo può offrire una qualità di questo livello, una usabilità tanto attuale, un valore storico paragonabile.
Una volta si diceva che la Leica fosse solo per ricchi; oggi invece un povero con solo una manciata di biglietti da 100 euro in tasca, può portarsi a casa una delle migliori fotocamere di tutti i tempi, con sopra niente meno che un prelibato Summicron. Caricato un rotolino di cara vecchia pellicola, il nostro potrà traguardare attraverso un reflex di superba luminosità, misurare con un preciso esposimetro spot (occhio alle pile, devono essere quelle da 1,35 distribuite da Polyphoto), impostare a mano tempo e diaframma, e portarsi a casa le migliori foto della propria vita. Ah, dimenticavo: è anche una delle macchine più belle mai esistite! Nessun vero appassionato Leica può esimersi dal possedere questa pietra miliare.

Dalla R3 alla R5

Eravamo rimasti al 1976, anno in cui la SL2 esce mestamente di produzione. Non era davvero un periodo molto roseo per il reparto fotografico della Leitz: l'azienda era in forte passivo, le vendite della M5 e della SL2 non andavano esattamente a gonfie vele, e pur risultando le due macchine carissime per il consumatore finale, alla azienda che le produceva costavano ciascuna mille marchi in più del prezzo al dettaglio. Lo spettro della chiusura aleggiava su Wetzlar, e davvero poco è mancato che la Leica non facesse la fine delle altre illustri case tedesche (Zeiss, Voigtlander, ecc.). La cavalleria che venne in soccorso dei nostri si chiamava Wild, prestigiosa azienda svizzera del settore ottico tecnico (geodesia, fotogrammetria, ecc.). Il nuovo management ebbe la lungimiranza di comprendere che il nemico giapponese non poteva più essere sconfitto: molto meglio farselo alleato. Era già dell'anno prima il primo approccio con la Minolta, unione morganatica che aveva dato vita anche alla piccolina CL, e si decise di proseguire su quella strada.

Quelli erano gli anni in cui il mercato chiedeva a gran voce l'automatismo di esposizione, e non era più tempo di dilazionare questa necessaria svolta: la Minolta XE1 venne scelta per impersonare il ruolo di Cenerentola nel film che segnava il nuovo corso della Leica. Il mirabox originale (specchio, prisma, schermo di messa a fuoco) venne giudicato non adeguato, e rimpiazzato da una realizzazione tedesca; l'elettronica vide sostanziosi rimaneggiamenti, ad opera si dice della inglese Ferranti; la meccanica invece non prestava il fianco a critiche, e non subì modifiche di rilievo. Venne aggiunta la lettura spot (con una cellula supplementare), e qualche altra accortezza tecnica; il tutto assemblato, a parte i primi 1500 pezzi, nel nuovo stabilimento portoghese. Globalizzazione molto ante litteram.

Il risultato fu commercialmente e tecnicamente molto incoraggiante: a parte l'iniziale sgomento dei tradizionalisti, la macchina piacque, e contribuì a rimettere in funzione il registratore di cassa della Leitz, nonostante il prezzo come sempre elevatissimo (il doppio delle ammiraglie delle altre case). Tuttora, una R3 ben tenuta è una macchina che stupisce per dolcezza e precisione del funzionamento. Tuttavia, la R3 era una macchina ponte, un test di mercato per capire se esistevano veri spazi di sopravvivenza; una volta assodata questa possibilità, gli ingegneri delle due case si misero al lavoro per creare un prodotto meno provvisorio. Questo nacque nel 1980, si chiamava R4, e si è trattato probabilmente del più grande successo commerciale delle reflex di Wetzlar. Circa 130.000 pezzi venduti in sei anni, una autentica valanga se si considera il target e il prezzo (sempre il doppio di una Nikon F3); oggi molti appassionati giovani potrebbero essere indotti a credere che le Leica reflex siano sempre state macchine di nicchia: questo non vale assolutamente per gli anni di cui stiamo parlando, in cui alla qualità del prodotto si unì un riscontro di mercato assolutamente rimarchevole. Era tutt'altro che raro trovare la R4 al collo di amatori e professionisti, e questo spiega la facilità con cui oggi questo oggetto può essere incontrato sul mercato dell'usato.

D'altra parte la Leica R4 era una macchina non solo ottima, ma anche perfettamente à la page: cinque modalità di esposizione, predisposizione per il motore professionale a 5 ffs, schermi di messa a fuoco intercambiabili, corpo di piccole dimensioni e accattivante design: un piccolo gioiello. Tecnicamente derivava dalla Minolta serie XD (erede della XE), con i soliti importanti correttivi operati dalla Leitz (stavolta per l'elettronica ci si rivolse alla Texas Instruments), che ne migliorarono sensibilmente l'usabilità, specie per il mirino e i comandi.

Dal ceppo R4 nacquero diverse varianti: R4s (semplificata togliendo il program e la priorità dei tempi), R5 (modernizzata nell'elettronica, con l'eliminazione di alcuni inconvenienti tecnici), RE (come la R4s, semplificazione della R5).

Mentre arriviamo alla R5, il parco ottiche Leica era cresciuto in modo esaltante:
si andava da un 15 mm prodotto in collaborazione con Zeiss a uno straordinario 800 mm, passando per tutte le focali e luminosità desiderabili. Sorvolo sugli obiettivi perché saranno oggetto di una futura trattazione separata. Ora mi preme fare una seconda segnalazione a chi decida di interessarsi alle reflex di Leica in modo non solo spirituale, con il secondo best buy della serie: sì, proprio quella R4 di cui è tanto facile sentire spernacchiare dai saputelli più superficiali! Posto che per qualcuno ogni reflex Leica rappresenta in fondo un piccolo sacrificio da compiere per poter godere dei meravigliosi obiettivi (e non mi metto a discutere: se il metro di confronto sono le Leica M, ogni altra macchina è destinata a fare da comprimaria), quello richiesto dalla R4 è un sacrificio proprio piccolo piccolo... pochissimi euro (diciamo 300 per un corpo in buono stato, non da collezione: l'equivalente di una revisione), pochissimi grammi e cm3 per un macchina dal mirino eccellente, grande praticità di uso, versatilità non comune. Occhio solo che le indicazioni nel mirino non sfarfallino, segno di contatti da pulire, e dare la preferenza alle matricole al di sopra del 1.600.000, emendate dai peccati di gioventù (anche se lo scrivente ha avuto tra le mani non pochi esemplari perfetti con numero al di sotto di quello fatidico). E, come sempre, acquistate da chi riconosce i dodici mesi di garanzia che la legge prescrive.

Naturalmente una R5 è migliore, ma il prezzo è drasticamente superiore, nell'ordine del doppio, e le prestazioni sono fondamentalmente le stesse.

Dalla R6 alla R9

La R5 esce di produzione nel 1991. Carriera dignitosa, ma non paragonabile alla R4: circa 30.000 esemplari in cinque anni; probabilmente l'attrazione verso le nuove autofocus faceva già sentire i suoi effetti.

Ma dobbiamo fare un piccolo passo indietro per tenere a battesimo la R6, che viene alla luce nel 1987; in pratica una R5 dotata di otturatore meccanico ed esposizione integralmente manuale, con lettura spot o integrata. Una ottima macchina, che trova i suoi estimatori tra gli appassionati più tradizionalisti, e che verrà sostituita nel 1990 dalla simile R6.2, modificata nell'otturatore (sempre un Seiko a scorrimento verticale) e in altri piccoli dettagli. Quest'ultima, destino comune a molte creature Leica, fu sommamente snobbata in vita, e amaramente rimpianta appena uscita di produzione (se potessero parlare le M5, le CL, le SL2!). O umanità ingrata, quando ti deciderai ad attribuire in tempo utile meriti e demeriti? Sic transit gloria mundi...

Ultima tappa prima della nuova fase R8/R9 è la R7, del 1992. Si tratta di un blando tentativo di ammodernamento di una formula ormai usurata, non privo di contraddizioni, come l'aver implementato un sofisticato TTL flash in una macchina che sincronizzava a un modesto 1/100 di secondo. Il mercato, speranzoso in novità d'altro calibro finisce per ignorare la R7 e il suo sistema, che sembra ormai irreversibilmente incamminato sul viale del tramonto... ma come nella migliore drammaturgia, quando tutto sembra perduto, arriva il colpo di scena!

Rimboccate le maniche, pungolati da un management non domo, i tecnici tedeschi si erano messi silenziosamente al lavoro per dare vita al progetto più ambizioso dai tempi della Leicaflex: la creazione di una autentica ammiraglia che rappresentasse degnamente la tradizione di cui era portatrice, senza complesso alcuno nei confronti della migliore concorrenza. E correva il 1996 quando prendeva il mare la portaerei delle fotocamere: la straordinaria Leica R8. Pochi hanno colto il valore etico e storico di questo passo: in un momento non certo esaltante per la fotografia, una (relativamente) piccola azienda europea trovava l'impennata di orgoglio per sfidare le tendenze conclamate, e mettere sul mercato un prodotto di ambizioni assolute.
Le carte in regola c'erano tutte: esuberante completezza funzionale (perfino la lettura TTL con qualunque flash, che a tutt'oggi solo la RTS III possiede), design sorprendente e innovativo, robustezza straordinaria (ricordo solo che Romolo Rappaini la mise sotto la ruota di una Porsche), e, udite udite! per la prima volta, prezzo allineato con le altre ammiraglie (mancava solo il benedetto/maledetto autofocus, ma su questa scelta dirò qualcosa più avanti)...
Naturalmente tutto ciò non poteva bastare agli esigentissimi (e un po' reazionari, diciamocelo...) utenti Leica, e puntuale si levò un coro di proteste: è troppo grossa, troppo pesante, troppo brutta, troppo poco Leica, eccetera eccetera. Siamo fatti così, abbiamo bisogno del nostro tempo, e ci vogliono a volte anche anni prima che l'occhio e la mente si abituino alle novità, prima di arrivare a scoprire le grandi qualità oggettive di una macchina come la R8. Ma alla fine, un posto stabile nel cuore degli ultimi appassionati del genere la nostra se lo è conquistato, per cederlo volentieri un paio di anni fa alla sorella R9, molto simile salvo dettagli, e destinata a rappresentare nei prossimi anni la scommessa Leica in un segmento di mercato che non vuole certo abbandonare.

Per il momento questa breve storia si conclude qui, ed è il tempo delle considerazioni finali. Il motivo del declino commerciale del sistema reflex Leica è certamente individuabile nella mancanza dell'autofocus: ma quanto questa necessità è giustificata, e quanto conseguenza di obbedienza a mode acritiche?
E' mia radicata convinzione che la stragrande maggioranza degli utilizzatori di macchine autofocus in realtà non abbiano alcun bisogno di quest'ultimo. Posso capire chi fa fotografia di azione (e nemmeno tutta...), ma chi predilige il paesaggio, il ritratto, il reportage turistico, l'architettura, il ritratto, la fotografia meditata in genere? Per me è solo pigrizia, più mentale che reale, perché perdere il controllo costante e obbligato del fuoco priva inutilmente di uno dei più importanti strumenti compositivi.
E l'autofocus, non dimentichiamolo, non ci viene gratis! La scorrevolezza delle montature di cui il sistema ha bisogno condanna le ottiche a tolleranze lontane anni luce dai precisissimi elicoidi Leica.

Quando comprai la prima Leica, nel giro di poco tempo la mia poderosa scuderia di reflex giapponesi scomparve: troppa differenza nelle immagini! E questo è il consiglio che mi sento di dare a chiunque abbia colto la straordinaria qualità delle ottiche Leica: se acquistate Leica a telemetro (che oggi nell'usato sono decisamente sopravvalutate), a maggior ragione acquistate Leica reflex, che soffrono della aberrazione commerciale opposta.

Siamo arrivati alla fine della maratona.
Spero che questa imperfetta trattazione abbia acceso in qualcuno un pizzico di desiderio per la sorellastra della principessa: credetemi, è una ragazza ormai matura, ma ricca di squisite qualità!

Sante
CIAO - WETZLAR 2011 ... io c'ero.
http://emilio-vendramin-fotografie.weebly.com/

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