QUELLE LEICA VERE MA FALSE...

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nikarlo
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QUELLE LEICA VERE MA FALSE...

Messaggio da nikarlo » sab set 30, 2017 3:00 pm

QUELLE LEICA VERE MA FALSE...

Foto e testo di Roberto Piero Ottavi 2006

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Eravamo verso la fine del 1944. La Grande Germania non era più così grande come la propaganda la dipingeva nel ’39 e gli entusiasmi che per tanto tempo avevano esaltato gli animi di milioni di persone già da tempo iniziavano a lasciare mestamente il posto al sentore della delusione ed al timore sempre più fondato di una sconfitta che nessuno soltanto pochi mesi prima avrebbe neppure sospettato.
Un intero popolo stava passando lentamente dall’entusiasmo più sfrenato al dolore per ferite che non si sarebbero mai più rimarginate e pochi mesi dopo i filmati girati a Mauthausen o ad Auschwitz avrebbero iniziato tristemente a girare il mondo.
Le difficoltà di un popolo ormai stremato dalla follia di un uomo solo si concretizzavano nel mercato nero, nella bottiglia d’olio pagata come oro fuso, nel chilo di zucchero portato a casa di nascosto sotto il paltò, ogni occasione era quella buona per racimolare qualche marco per sfamare i bambini.

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A Wetzlar la produzione era crollata e si era ridotta a poche centinaia di pezzi e dai magazzini sparirono, sembra, senza che praticamente nessuno se ne accorgesse, decine di casse di pezzi di ricambio.
Erano momenti nei quali l’inventario di fine anno era certamente l’ultima delle preoccupazioni e il disordine che regnava in tutta la Germania contribuiva a far passare nel più completo silenzio anche atti che in altra epoca avrebbero scatenato una indagine giudiziaria senza fine.
Sta di fatto, ripeto, che si racconta che molte casse di pezzi, tutto materiale nuovo destinato ai reparti montaggio o alle sostituzioni, presero una strada diversa da quella cui erano destinati finendo probabilmente ben nascoste nella cantina di qualche modesta e tranquilla casetta di Wetzlar.
La guerra fortunatamente finì e la più grande fabbrica di ottica d’Europa riprese fiato faticosamente ma con un crescendo continuo di innovazioni e consolidamento commerciale in tutto il mondo.
Verso l’inizio degli anni 70 iniziarono a circolare, incredibilmente assolutamente nuove, numerose Leica la cui normale produzione era definitivamente terminata da almeno trent’anni.
Impensabile sostenere che in Leitz si fossero accantonate decine di Leica di un modello non più in produzione e quindi l’unica risposta plausibile resta quella che fossero state assemblate fuori degli stabilimenti Leitz di Wetzlar e che fossero stati utilizzati proprio i pezzi contenuti nelle famose casse sparite nel 1944 e mai più ritrovate anche perché, forse e comprensibilmente visto il periodo, mai cercate.
Il mercato del collezionismo, ben lo sappiamo, è un mercato molto strano all’interno del quale si aggirano molti appassionati che amano raccogliere tutto quanto costituisce testimonianza della storia di un marchio, indipendentemente dallo stato d’uso dei pezzi, dalle fotocamere alle ottiche agli accessori e perfino ai gadgets o alle pubblicazioni che negli anni si sono susseguite
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Quando però il collezionismo si spinge oltre e diventa “collezionismo vero” allora un pezzo strisciato o semplicemente troppo consunto non va più bene a meno che non si tratti della Leica fusa a bordo dell’Hindemburg durante il rogo che mise fine ai viaggi transoceanici degli Zeppelin oppure della leggendaria Leica di Rommel (quella vera, sempre che la volpe del deserto ne abbia posseduta una realmente, non quelle “attribuite a”... perché al mondo credo esistano almeno 5000 “Leica di Rommel assolutamente originali”.
Trovare oggi una Leica a vite nera assolutamente perfetta come appena uscita dal reparto montaggio, con una laccatura perfetta e telemetro limpidissimo è praticamente impossibile soprattutto perché si tratta di fotocamere non robuste come le consorelle cromate che meglio sopportano gli anni.
Una fotocamera laccata nera si riconosce ad occhi bendati, i polpastrelli scorrono sulla superficie laccata e cotta in forno come se si accarezzasse la pelle di un neonato, è certamente affascinante ma è anche terribilmente delicata.
La vernice, seppur indurita dalla sapiente cottura in forno, si segna piuttosto facilmente e in quei punti dove maggiormente le dita hanno insistito nell’uso inizialmente si opacizza e poi si consuma lasciando intravedere il giallo del metallo sottostante, questo ben lo sappiamo tutti.
Sul fondello poi le tracce sono presenti dopo qualche giorno d’uso anche se la fotocamera è stata trattata con estrema attenzione.
Perché questa lunga premessa? Perché nel caso delle Leica nere sospette ci troviamo di fronte a pezzi assolutamente perfetti come mai in altre occasioni si è verificato.
Ho avuto occasione di prendere in mano, in oltre trent’anni di passione per il collezionismo, soltanto 3 di queste strane ed insolitamente fiammanti fotocamere e ne possiedo una quarta acquistata in Danimarca alcuni anni or sono e che è quella fotografata per accompagnare il mio scritto.
Si tratta ovviamente e senza ombra di dubbio di Leica assolutamente originali in tutto e per tutto dal rivestimento alla laccatura, dal più piccolo componente meccanico alle tendine e al tatto ed all’orecchio questa genuinità si sente senza possibilità di errore.
Anche i singoli componenti interni sono quelli di produzione e non le solite più o meno attente repliche.
Numerosi particolari denunciano però l’anomalia, primo fra tutti il numero di matricola che non corrisponde certamente al modello e che, almeno nei quattro casi esaminati, è sempre lo stesso: 11771 (appartenente ad una Leica I di fine anni ‘20).
I pezzi inoltre sono una specie di mix di differenti modelli: le macchine sono delle Leica IIc (ma nei registri non risultano IIc nere ma soltanto IIIc costruite a cavallo tra il 1942 e il 1944 e per giunta grige e non nere) e il telemetro possiede già la regolazione di messa a fuoco coassiale incorporata ma la terza vite centrale che blocca il castello farebbe pensare ad una Leica IIIb.
Insomma è molto probabile che si sia ricorso ad adattare pezzi di differenti modelli come nel caso della Leica II New York del 1948 quando si utilizzò la cassa della Leica III coprendo con un dischetto il foro che originariamente ospitava il selettore dei tempi lenti.
A questo punto mi pongo una domanda: deve essere considerata una Leica originale oppure no?
A rigor di logica mi verrebbe da dire di no nel senso che una fotocamera che non sia stata assemblata in Leitz non possiede le carte in regola ed è, se non falsa, almeno irregolare.
Ma se è a tutti gli effetti costituita da pezzi tutti originali come ci si deve comportare nella stima della rarità e nella conseguente valutazione?
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Se un meccanico di provincia si procura tutti i pezzi nuovi di fabbrica della Fiat 500 o di una VW del 1953 e li mette assieme alla fine che cosa ottiene, una copia falsa oppure una vettura d’epoca assolutamente nuova ma con un numero di telaio improbabile e quindi sotto il profilo cartaceo non immatricolabile?
Ha più valore una Fiat 500 o un Maggiolino VW con regolare libretto ma corrosa dagli anni e tenuta insieme da chili di stucco e vernice, saldata qua e là e irrobustita da ritagli di lamiera aggiunti oppure quella assemblata dal meccanico di provincia, senza documenti ma di fatto assolutamente nuova?
Senza considerare che spesso il collezionismo attribuisce valori da pura follia proprio ai pezzi sbagliati, il Gronchi Rosa o la moneta da 500 lire in argento con le bandiere stese contro vento rispetto alle vele ne sono validissimi esempi, e queste Leica incerte quanto meravigliose la cui storia si perde nella foschia di periodi sicuramente non meravigliosi ma altrettanto incerti credo che ben possano affiancare i due esempi citati. Insomma, proprio quando siamo sicuri di sapere tutto su Leica, ecco che spunta una fettina di storia sommersa che mette in dubbio la completezza delle nostre conoscenze, la verità si mescola con il racconto e, ancora una volta, l’arida certezza della storia scritta si confonde con l’intrigante e affascinante ricchezza di quella raccontata.
Roberto Piero Ottavi

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