HCB oltre il "momento decisivo" e l'immagine "colta al volo"

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Luca Alessandro Remotti
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HCB oltre il "momento decisivo" e l'immagine "colta al volo"

Messaggio da Luca Alessandro Remotti » mer set 09, 2020 10:02 am

Uno dei più importanti fotografi del ventesimo secolo: per la sua capacità espressiva, per la sua capacità narrativa unita allo sguardo dell'antropologo, nonché per la sua visione innovatrice del mondo della comunicazione visuale.

Eppure la narrazione “comune” lo vuole semplicemente il precursore della fotografia di strada e il maestro dell'immagine colta al volo.

È urgente approfondire questa narrazione, rettificare la semplificazione, valutare attentamente se sia il caso di associare Cartier-Bresson alla reazione rapida, alla velocità, alla fotografia singola altamente espressiva.

HCB è stato molto di più e ben altro: in attività dal 1926 al 1974, anno in cui si distacca da Magnum Photos, non solo si è incamminato lungo un percorso che lo ha portato ad affinare la sua estetica, precocemente fotografando, ma anche dipingendo, ma soprattutto confrontandosi con artisti e creativi della sua epoca. Si è rivolto alla documentazione del suo tempo, alla descrizione di popoli, terre e società e all'analisi politica e antropologica e dichiara che la fotografia raramente riesce, da sola, a "reggere" una narrazione. Viaggia, vive in Africa, dove fotografa, si ammala, prova pure a prendere moglie, ma non ne ha i mezzi economici. Non riesce a far sviluppare i suoi rullini, che può visionare solo dopo il suo ritorno.

È vero, Henri nasce pittore e fotografo, ma queste attitudine alla rappresentazione per immagini è sempre finalizzata alla documentazione. La fotografia "Juvisy, Dimanche sur les bords de la Marne, Francia 1938", ad esempio, non ha l'intento di "Déjeuner sur l'herbe" di Manet, ma piuttosto ci mostra, come molte altre immagini di HCB, la nascita del "tempo libero" della classe lavoratrice francese, in base a una legge del 1936 che introduceva le ferie retribuite.

Nel volume "Henri Cartier-Bresson", pubblicato contemporaneamente alla grande mostra del 2014 al Centre Pompidou, Clément Chéroux descrive l'opera del fotografo come il prodotto di un insieme di fattori: "una certa inclinazione artistica, un assiduo apprendistato, un po' di atmosfera del periodo, aspirazioni personali, molti incontri". È un giovane di origine borghese che contesta le sue radici e cerca i suoi percorsi espressivi, fortemente attratto dal surrealismo, ma anche da un impegno militante e la condivisione delle posizioni politiche comuniste: "anticolonialismo, sostegno dei repubblicani spagnoli, e una fede profonda nella necessità di cambiare la vita". Fa il reporter per la stampa comunista impegnandosi su temi sociali, la condizione operaia.

Dopo la guerra - era stato membro della resistenza ed era stato preso prigioniero - viene incaricato dal Movimento Nazionale dei Prigionieri di Guerra e dei Deportati di realizzare un film per documentare il ritorno dei prigionieri. Quando imbraccia la cinepresa per filmare il "processo" ad una sorvegliante di un campo di prigionia femminile il suo istinto fotografico prende il sopravvento, consegna improvvisamente la macchina da presa al suo collega e con la fotocamera realizza una sequenza molto forte, che include questa iconica immagine. E al collega che gli dice che il fotogramma fermo ci sarà stato anche nella ripresa cinematografica dimostra praticamente che no, non c'è, che le fotografie sono uniche.


Come racconta il suo amico Ferdinando Scianna, in questa lunga e appassionata conferenza del 2019, HCB ha per molto tempo cercato cosa fare e come rapportarsi alla fotografia. "Henri evadeva sempre: dalla sua famiglia, dalla sua estrazione borghese, dal suo destino, dalla pittura, da se stesso, ed in ultimo proprio dalla fotografia".

Sul sito Magnum Photos leggiamo che, dopo la seconda guerra mondiale "Tornato in Francia ero completamente perso. Al tempo della liberazione, con il mondo completamente disconnesso, la gente aveva nuove curiosità. Avevo un po' di denaro ricevuto dalla mia famiglia che mi evitò di cercare lavoro in banca. Ero impegnato a guardare una fotografia per se stessa, un po' come si fa con una poesia". Come possiamo vedere, l'impiego in banca ha per lungo tempo avuto un innegabile "appeal".

Robert Capa, suo amico e socio in Magnum, gli disse "Non conservare l'etichetta di fotografo surrealista. Sii un fotoreporter. Altrimenti cadrai nel manierismo. Mantieni il surrealismo nel tuo cuoricino, mio caro. Non essere irrequieto. Agisci." (dal sito Magnum).

Henri Cartier-Bresson lavora per Magnum, inventa con i suoi soci un nuovo modello commerciale, in vigore ancora oggi, che non prevede la cessione delle opere ma solo la concessione del diritto di utilizzo. "Venivano dalla durissima esperienza della guerra ma sperimentavano anche il difficile rapporto con l'editoria" (Scianna).

Per questo motivo nasce l'uso del bordino nero, che era semplicemente il "sigillo" dell'inquadratura voluta dal fotografo, per evitare ritagli per esigenze di impaginazione. Anche se il nostro Cartier-Bresson è convinto che nessuna fotografia possa diventare buona ritagliandola - lo ha fatto con "Derrière la gare Saint-Lazare, 1932" - il bordino nero non è di per se un indicatore di perizia, ma solo una garanzia di autenticità della scelta del fotografo.

HCB non è un "fotografo al volo" è un "narratore per immagini": nel suo The mind's eye (p. 23-24) dice "Cosa è realmente un reportage fotografico, una storia per immagini? Talvolta abbiamo un'unica immagine la cui composizione possiede una tale vigore e una tale ricchezza e il cui contenuto si irradia in tale modo da essa, che questa singola immagine è una storia compiuta in se stessa. Ma questo accade raramente. Gli elementi che, nel loro insieme, possono far scaturire scintille da un soggetto, sono spesso sparsi - sia in termini di tempo, sia di spazio - e associarli a forza può risultare "gestione della scena", e, io penso, una forzatura. Ma se si riesce a fare delle fotografie del "cuore" ed anche delle scintille che si sprigionano dal soggetto, questa è una storia per immagini. La pagina (della pubblicazione n.d.t.) serve a riunire gli elementi complementari dispersi tra più fotografie".

"La storia per immagini richiede l'azione congiunta di cervello, occhio e cuore. L'obiettivo di questa operazione congiunta è di rappresentare il contenuto di un evento che si sta svolgendo e di comunicare impressioni". Scianna ci spiega questa affermazione, evidenziando la necessità di garantire l'equilibrio tra percezione e conoscenza (cervello), estetica (occhio) e sentimento (cuore). Un eccesso di cervello rischia l'eccesso di razionalità, un eccesso di occhio l'eccessiva estetizzazione, un eccesso di cuore il romanticismo.

A meno che non si fotografi per una mera pulsione tecnica o per la fotografia fine a se stessa (succede), la creazione di immagini parte dalla vita, dalle vicende umane, dalle relazioni, dalle passioni, dagli esseri umani. È necessario ricercare, capire, studiare e soprattutto entusiasmarsi. Questo è ciò che Cartier-Bresson ha concretamente perseguito.

Egli ha perfettamente interpretato il suo tempo, le persone in "un mondo completamente disconnesso" che pure avevano l'esigenza di conoscere, di capire come stavano cambiando le società dopo il trauma della seconda guerra mondiale. I giornali e le riviste mostravano luoghi, personaggi e avvenimenti che la maggioranza in quegli anni non avrebbe mai visto di persona. Cartier-Bresson si concentra sull'Asia e infatti si reca in Cina, in India, in Russia, fotografa il Mahatma Gandhi poco prima del suo assassinio, il popolo russo ed i contadini cinesi. Dal 1947 ai primi anni 70 viaggia in tutti gli angoli del mondo e lavora per quasi tutti i grandi giornali illustrati internazionali.

"Images à la sauvette" o "The decisive moment", del 1952, e riedito nel 2014, quindi non va visto e letto come una raccolta di scatti singoli, ma piuttosto come un variegato portfolio che apre una prospettiva sull'enorme lavoro antropologico e di documentazione del fotografo nei suoi primi 25 anni di attività.

Il "momento decisivo", nel suo effettivo significato, ci dice Scianna, non riguarda il reale nel suo momento sfuggente, ma lo sguardo del fotografo ed il momento in cui decide di rappresentare il reale azionando l'otturatore. Il momento decisivo non è una dinamica subita da rincorrere, ma piuttosto una consapevole decisione riguardo alla scena ed alla sua evoluzione.

Si sa, i titoli dei libri hanno una funzione commerciale. "Immagini colte al volo" è sicuramente accattivante, evoca velocità, reazioni rapide, scene che solo il fotografo ha visto e ci può mostrare. HCB era al contrario uno che sosteneva che nei luoghi e con le persone era necessario vivere, che il fotografo non poteva essere "turista".

Chéroux lo definisce un "antropologo visivo" che sviluppa "inchieste, tematiche e trasversali, descritte ... come una 'combinazione di reportage, filosofia e analisi (sociale, psicologica e altro)", inchieste che aprono ampie finestre su un mondo in rapida evoluzione.

La velocità e la tempestività quindi non sono attributi appropriati per un autore che ha definito i principi del racconto per immagini e dell'antropologia visiva e che ha sempre autonomamente deciso la sua linea narrativa ed i relativi tempi.

È appena il caso di sottolineare che il mondo oggi non è più "completamente disconnesso", al contrario, è completamente interconnesso, fisicamente e virtualmente. Conta "esserci", anche solo con un telefonino, e spesso chi "c'è" non è un fotografo professionista, e nemmeno un antropologo.

Luca Alessandro Remotti (CC BY-NC-ND)

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