Steve McCurry, Gianni Riotta: Il mondo di Steve McCurry.
Inviato: lun ago 28, 2017 11:12 pm
Il libro è del 2016, mi ci sono imbattuto tardi, passeggiando fra gli scaffali delle offerte nella libreria di una località turistica.
Ero un po’ prevenuto nel cominciare la lettura, quasi certo che si trattasse dell’ennesima trovata commerciale negli anni del boom della fotografia. Ma quale libro non lo è…
Tuttavia è interessante. McCurry lo conosciamo tutti, in questo forum si è discusso molto di certe sue foto pesantemente manipolate, la sua foto della ragazza afghana è la più famosa di tutti i tempi, si discute di quanto sia lecito spingere sugli aspetti commerciali, sul “vendersi” dei professionisti come lui, spesso sfruttando la sensibilità popolare.
Nella lunga intervista concessa a Gianni Riotta però mette in evidenza come siano predominanti gli aspetti professionali, l’assignment, i doveri verso l’editore committente. Molto spesso non c’è nessun eroismo nella professione di fotoreporter, solo la dannata pressione del lavoro, del non dover perdere la foto. Nulla di cui vantarsi nello sguazzare nell’acqua putrida con i ratti e gli escrementi (che però gli fece avere la copertina del National Geographic Magazine per la seconda volta: il vecchio con la macchina da cucire che tutti abbiamo visto).
Da ragazzo la scuola non gli piaceva, dopo il college cercava cosa fare nella vita. Ha iniziato con la fotografia in un giornale di provincia, documentando avvenimenti locali. L’incontro col fotogiornalismo lo ha spinto a voler pubblicare qualcosa (e anche, secondo me, la voglia di viaggiare, non va scordato che proviene da una famiglia borghese della periferia di Filadelfia).
E’ partito per l’Asia con quattro soldi ma è arrivato in Afghanistan nel 1979, riportando in occidente le immagini dell’invasione russa e del conflitto conseguente. Negli anni successivi è riuscito a vivere di questo mestiere, i reportage li vendeva, ma mancava ancora la notorietà.
L’incontro con la oggi arcinota ragazza afghana, nel 1984, è descritto molto bene, in maniera circostanziata. Sapeva di avere una buona foto ma non avrebbe mai immaginato l’enorme diffusione che avrebbe avuto e la fortuna che gli avrebbe portato. Fu il direttore del National Geographic Magazine a decidere di metterla in copertina, contro il parere del capo redattore, che ne preferiva un’altra. La scelse fra una quindicina scattate sotto la stessa tenda, con l’aiuto di un treppiedi (a causa di un incidente di gioventù ad una mano Steve non riesce ad impugnare bene le fotocamere!)
Tuttavia il vero valore di questo libro sono le opinioni personali di McCurry. Molto significativo, secondo me, quello che dice a proposito del terrorismo, della situazione internazionale e della posizione degli USA (pagg. 96 – 101). Personalmente lo condivido in pieno, può apparire banale ad un lettore superficiale ma sono le idee di chi ha visto, di chi ha vissuto le tragedie prima di averle fotografate, di chi si è reso conto delle conseguenze che comportano le decisioni dei potenti, prese a tavolino, sulla vita della povera gente o meglio della gente che povera non era affatto ma lo è diventata magari nel giro di un’ora in conseguenza di ciò, solo per essersi trovata a vivere nel posto sbagliato…
Condivisibile anche ciò che dice sulla cosiddetta globalizzazione (anche se questa parola non la usa), che spazza via tradizioni millenarie nel breve tempo di un film in tivù o di uno spot pubblicitario. Il ragazzino non vuole più il turbante del nonno, che una volta si indossava con orgoglio, preferisce il cappellino da baseball. E’ bene? E’ male?
Mette l’accento sulla differenza fra la visione occidentale, romantica, pittoresca, di certi villaggi dei paesi poveri e la cruda realtà. E’ la visione di un Americano, ma non da “Americano”.
Stupisce come, in situazioni vicine a ciò che noi occidentali viviamo quotidianamente, reagisca anch’egli come noi: anche lui perde un sacco di foto, perde l’attimo, perde la luce, si rammarica di andare troppo di fretta.
In generale predilige la luce del cielo coperto.
Interessante ciò che dice del turismo in Italia, per esempio su Firenze e Venezia (pag. 141).
Ha rischiato alcune volte di morire ma curiosamente non durante qualche missione in luoghi pericolosi, bensì in vacanza o fotografando in paesi tranquilli.
Ovviamente si è trovato in condizioni di estremo pericolo, è stato più volte arrestato, sequestrato dai predoni, preso a botte, spesso derubato di soldi e attrezzatura, si è preso anche la dissenteria amebica.
Leggendo il libro mi sono fatto l’idea che, per qualche sorta di giustizia occulta, a grande fama e ricchezza corrisponda grande sofferenza (se si lavora onestamente, ovvio). Credo anche che per fare certe foto ci voglia comunque grande sensibilità nei confronti del prossimo. McCurry si è trovato spesso a contatto con il Buddismo, religione di cui ha finito per condividere molte idee e molti comportamenti, pur senza alcuna conversione.
Il libro contiene una conferma, se ce n’era bisogno: un accenno all’“etica” del fotografare le persone. Il co-autore dichiara di aver sempre fotografato persone consenzienti, se non si sente accettato non fotografa, non funziona. Le foto rubate, magari violando il dolore di un funerale, fanno sentire sporchi e non ci si ripulisce facilmente.
L’ultimo capitolo contiene la sua visione su bianconero e colore, pellicola e digitale, i grandi maestri…
Infine una nota su Gianni Riotta, il giornalista che ha chiesto a McCurry di raccontarsi: prima di questo libro ho avuto modo di apprezzarlo solo in tivù, su RAIstoria, anche se ha scritto molto… Riotta inserisce spesso, fra un racconto e l’altro, degli inquadramenti storici, politici, illustra le situazioni in cui il protagonista si è trovato. Solo ogni tanto esagera, a mio parere, nel paragonare certe foto ad opere d’arte del passato.
Scheda tecnica del libro:
Titolo: Il mondo di Steve McCurry
Autori: Steve McCurry, Gianni Riotta
Editore: Mondadori
Anno di edizione: 2016
Prezzo di copertina: 24,00 euro (ma in internet si trova anche a 21,00)
Ero un po’ prevenuto nel cominciare la lettura, quasi certo che si trattasse dell’ennesima trovata commerciale negli anni del boom della fotografia. Ma quale libro non lo è…
Tuttavia è interessante. McCurry lo conosciamo tutti, in questo forum si è discusso molto di certe sue foto pesantemente manipolate, la sua foto della ragazza afghana è la più famosa di tutti i tempi, si discute di quanto sia lecito spingere sugli aspetti commerciali, sul “vendersi” dei professionisti come lui, spesso sfruttando la sensibilità popolare.
Nella lunga intervista concessa a Gianni Riotta però mette in evidenza come siano predominanti gli aspetti professionali, l’assignment, i doveri verso l’editore committente. Molto spesso non c’è nessun eroismo nella professione di fotoreporter, solo la dannata pressione del lavoro, del non dover perdere la foto. Nulla di cui vantarsi nello sguazzare nell’acqua putrida con i ratti e gli escrementi (che però gli fece avere la copertina del National Geographic Magazine per la seconda volta: il vecchio con la macchina da cucire che tutti abbiamo visto).
Da ragazzo la scuola non gli piaceva, dopo il college cercava cosa fare nella vita. Ha iniziato con la fotografia in un giornale di provincia, documentando avvenimenti locali. L’incontro col fotogiornalismo lo ha spinto a voler pubblicare qualcosa (e anche, secondo me, la voglia di viaggiare, non va scordato che proviene da una famiglia borghese della periferia di Filadelfia).
E’ partito per l’Asia con quattro soldi ma è arrivato in Afghanistan nel 1979, riportando in occidente le immagini dell’invasione russa e del conflitto conseguente. Negli anni successivi è riuscito a vivere di questo mestiere, i reportage li vendeva, ma mancava ancora la notorietà.
L’incontro con la oggi arcinota ragazza afghana, nel 1984, è descritto molto bene, in maniera circostanziata. Sapeva di avere una buona foto ma non avrebbe mai immaginato l’enorme diffusione che avrebbe avuto e la fortuna che gli avrebbe portato. Fu il direttore del National Geographic Magazine a decidere di metterla in copertina, contro il parere del capo redattore, che ne preferiva un’altra. La scelse fra una quindicina scattate sotto la stessa tenda, con l’aiuto di un treppiedi (a causa di un incidente di gioventù ad una mano Steve non riesce ad impugnare bene le fotocamere!)
Tuttavia il vero valore di questo libro sono le opinioni personali di McCurry. Molto significativo, secondo me, quello che dice a proposito del terrorismo, della situazione internazionale e della posizione degli USA (pagg. 96 – 101). Personalmente lo condivido in pieno, può apparire banale ad un lettore superficiale ma sono le idee di chi ha visto, di chi ha vissuto le tragedie prima di averle fotografate, di chi si è reso conto delle conseguenze che comportano le decisioni dei potenti, prese a tavolino, sulla vita della povera gente o meglio della gente che povera non era affatto ma lo è diventata magari nel giro di un’ora in conseguenza di ciò, solo per essersi trovata a vivere nel posto sbagliato…
Condivisibile anche ciò che dice sulla cosiddetta globalizzazione (anche se questa parola non la usa), che spazza via tradizioni millenarie nel breve tempo di un film in tivù o di uno spot pubblicitario. Il ragazzino non vuole più il turbante del nonno, che una volta si indossava con orgoglio, preferisce il cappellino da baseball. E’ bene? E’ male?
Mette l’accento sulla differenza fra la visione occidentale, romantica, pittoresca, di certi villaggi dei paesi poveri e la cruda realtà. E’ la visione di un Americano, ma non da “Americano”.
Stupisce come, in situazioni vicine a ciò che noi occidentali viviamo quotidianamente, reagisca anch’egli come noi: anche lui perde un sacco di foto, perde l’attimo, perde la luce, si rammarica di andare troppo di fretta.
In generale predilige la luce del cielo coperto.
Interessante ciò che dice del turismo in Italia, per esempio su Firenze e Venezia (pag. 141).
Ha rischiato alcune volte di morire ma curiosamente non durante qualche missione in luoghi pericolosi, bensì in vacanza o fotografando in paesi tranquilli.
Ovviamente si è trovato in condizioni di estremo pericolo, è stato più volte arrestato, sequestrato dai predoni, preso a botte, spesso derubato di soldi e attrezzatura, si è preso anche la dissenteria amebica.
Leggendo il libro mi sono fatto l’idea che, per qualche sorta di giustizia occulta, a grande fama e ricchezza corrisponda grande sofferenza (se si lavora onestamente, ovvio). Credo anche che per fare certe foto ci voglia comunque grande sensibilità nei confronti del prossimo. McCurry si è trovato spesso a contatto con il Buddismo, religione di cui ha finito per condividere molte idee e molti comportamenti, pur senza alcuna conversione.
Il libro contiene una conferma, se ce n’era bisogno: un accenno all’“etica” del fotografare le persone. Il co-autore dichiara di aver sempre fotografato persone consenzienti, se non si sente accettato non fotografa, non funziona. Le foto rubate, magari violando il dolore di un funerale, fanno sentire sporchi e non ci si ripulisce facilmente.
L’ultimo capitolo contiene la sua visione su bianconero e colore, pellicola e digitale, i grandi maestri…
Infine una nota su Gianni Riotta, il giornalista che ha chiesto a McCurry di raccontarsi: prima di questo libro ho avuto modo di apprezzarlo solo in tivù, su RAIstoria, anche se ha scritto molto… Riotta inserisce spesso, fra un racconto e l’altro, degli inquadramenti storici, politici, illustra le situazioni in cui il protagonista si è trovato. Solo ogni tanto esagera, a mio parere, nel paragonare certe foto ad opere d’arte del passato.
Scheda tecnica del libro:
Titolo: Il mondo di Steve McCurry
Autori: Steve McCurry, Gianni Riotta
Editore: Mondadori
Anno di edizione: 2016
Prezzo di copertina: 24,00 euro (ma in internet si trova anche a 21,00)