Alla voce Mitologia della Enciclopedia Treccani si può leggere:
Complesso dei miti di un popolo, cioè delle narrazioni fantastiche tradizionali di gesta compiute da figure divine o antenati ...
Se parlando di Leica il termine mito appare appropriato e subito si sovrappone al rigore storico, parlando di fotografia, c’è una data certa da cui possiamo partire: il sette gennaio 1839.
Quel giorno, a Parigi, Louis Arago presenta all’Accademia di Francia il dagherrotipo. Il procedimento è frutto degli studi di Daguerre e Niepce (prima il padre poi il figlio), che hanno realizzato il sogno, già nella mente di molti, di rappresentare la realtà non più con tela e pennelli, ma con la luce. Quasi contemporaneamente, dall’altra parte della Manica, Fox Talbot ottiene risultati simili utilizzando non una lastra metallica ma un foglio di carta impregnato di cloruro di sodio sensibilizzato da nitrato d’argento. Infine, nel 1977 Boris Kossoy, storico, brasiliano, scopre alcuni esperimenti realizzati appunto in Brasile nel 1832 o 1833 da Hercules Florence che ottiene immagini negative che stampa a contatto e chiama fotografie.
Nasce così il procedimento fotografico e, con pochi aggiustamenti a qualcosa che già esiste - la “camera obscura” nota fin dal IV° secolo a.C. - nasce anche la macchina fotografica.
Il processo fotografico è ancora complesso, le macchine sono pesanti, ingombranti. Pure le immagini che ancora possiamo vedere - ad esempio quelle realizzate durante la campagna d’Egitto di Napoleone - ci confermano che la fotografia sta facendo il giro del mondo.
Un primo significativo passo verso la semplificazione lo farà George Eastman con la sua Kodak - nome che non vuol dire nulla ma che rispondeva all’esigenza commerciale di un termine facilmente identificabile - precaricata. Lo slogan You press the button, we do the rest con cui la macchina viene pubblicizzata, apre la fotografia alla emergente classe borghese.
La fotografia esce dagli atelier ma il procedimento, soprattutto per la preparazione delle lastre, è ancora confinato nel modo dell’alchimia.
Per il professionista o per coloro che oggi definiamo fotoamatori evoluti, l’unico strumento resta l’ingombrante e poco versatile antenato del banco ottico, a parte alcune folder non ancora molto diffuse. Lo stesso Voigtlander, che nel 1840 realizza il primo obiettivo fotografico, produrrà, l’anno successivo, le sue prime fotocamere metalliche a lastre.
Se la chimica fotografica comincia a godere di un buon trend di sviluppo, grazie anche al lavoro di Johann Heinrich Schulze, Thomas Wedgwood e John Frederick William Herschel, il perfezionamento di nuove macchine fotografiche rimane al palo.
Sostituire le attrezzature fino a qui disponibili con qualcosa di funzionale, portatile, facilmente gestibile dal fotografo rimane ancora un sogno.
In questo quadro si inserisce il mito: Oskar Barnak.
Oskar Barnack nasce in Germania, a Lynow il primo di novembre del 1879 (dalla presentazione dei primi dagherrotipi sono passati circa 40 anni).
Non si sa molto della sua infanzia. Studia a Berlino, dove la sua famiglia si è trasferita, per poi perfezionarsi in meccanica presso un’officina di apparecchiature astronomiche.
Trascorre periodi di lavoro e di studio in Sassonia, a Vienna, in Tirolo ed infine a Jena, dove è assunto presso la Carl Zeiss.
E’ appassionato di fotografia.
Come lui stesso scriverà, nel 1905 trascorre una vacanza nei boschi della Turingia e non rinuncia alla sua passione.
Fotografo entusiasta ma asmatico, soffre nelle sue passeggiate sotto il peso della macchina fotografica 13x18, del cavalletto, dello zaino con le lastre e gli accessori.
Forse è in questo contesto che nasce in lui l’idea di una macchina fotografica piccola e maneggevole, facilmente trasportabile: ma i tempi non sono ancora maturi.
La sua idea - una fotocamera con cui esporre un negativo da ingrandire successivamente in camera oscura - inizialmente è solo un’idea che, realizzata, rappresenterà lo spartiacque fra il prima ed il dopo.
Sarà solo nel 1912, quando comincia a lavorare come progettista per la Leitz di Wetzlar che il suo sogno comincia prendere forma.
E’ dall’esigenza di realizzare un piccolo apparecchio con cui testare l’effettiva sensibilità delle bobine di pellicola cinematografica che prende forma quella che diventerà la Leica.
Inizialmente Barnack progetta e realizza quello che sembra essere solo un “esposimetro a camera”. Questa “protofotocamera” è dotata di ottica fissa, corrispondente all’obiettivo di una cinepresa, è ha un otturatore con tempo di scatto di 1/40, uguale alla frequenza di ripresa.
Ma se con il piccolo apparecchio che aveva realizzato, il film comunque registrava immagini, perché non utilizzarlo anche per fotografare?
Barnack continua a seguire le sue intuizioni e realizza il primo prototipo. Lo dota di un obiettivo collassabile e utilizza lo stesso otturatore già usato nell’esposimetro a camera. Utilizza ancora la pellicola cinematografica ma raddoppia un lato dell’immagine: nel cinema i fotogrammi erano 18x24, in fotografia saranno 36x24.
E’ nato il 35 mm anche se forse neanche il suo ideatore lo chiama ancona così.
Ancora non tutti lo sanno ma nulla, in fotografia, sarà più come prima.
Va detto che la scelta di questo formato per la fotografia corrisponde ad una precisa esigenza di Barnak che, con un rapporto fra i lati di 2:3 raggiunge quello che definisce come il più bello ed il più utile.
Aveva infatti stimato che inquadrando con un obiettivo che restituisse una visione prospettica vicina a quella dell’occhio umano, fossero necessari un milione di punti per fornire un’immagine sufficientemente nitida. Punti che racchiusi nel campo inquadrato da un 50 mm. avrebbero occupato circa 700 mm quadrati, superficie perfettamente compatibile con quella del negativo 24x36.
Da qui in avanti molto lavoro verrà dedicato alla progettazione di dettaglio, lavoro che impegnerà il suo ideatore per circa tre anni.
Alla fine otterrà la “macchina fotografica con pellicola a rullino” che caricherà con uno spezzone di pellicola cinematografica perforata di circa 2 metri (un normale rullino da 36 pose di quelli oggi utilizzati è lungo circa 160 cm); in questo modo, fra l’altro, riuscirà ad utilizzale gli “avanzi” delle “pizze”.
Barnack, con la sua nuova creazione, scatta le prime foto.
Quella di cui si ha maggior certezza è un’immagine scattata all’Eisenmarkt di Wetzlar.
Una lapide commemorativa, posata durante le celebrazioni del primo centenario della Leica, indica il punto da cui fu effettuata la foto.
Ma la prima guerra mondiale è alle porte e lo sviluppo della nuova macchina si ferma, almeno ufficialmente. Barnack continua a lavorare attorno alla sua creatura.
Arrivano gli anni ’20 e la vita riprende, anche nella Germania duramente provata dal conflitto.
E’ nel 1920 che Barnack realizza con un il suo prototipo, alcune foto dell’inondazione a Wetzlar.
La loro importanza storica è nel fatto di essere, forse le prime immagini riprese con una Leica molto simile a quella che usiamo oggi.
Foto riprese dal vivo, fuori dagli atelier, riferite ad un evento naturale, immediate.
Oggi le definiremmo foto di cronaca.
Grazie all’esperienza acquisita Barnack sostituisce il primo otturatore (quello di origine cinematografica con tempo fisso su 1/40) con uno nuovo che ha ideato e sviluppato.
L’otturatore lo realizza con due tendine chiuse al caricamento. La fessura fra la prima e la seconda tendina ha un’ampiezza variabile in funzione del tempo impostato. In pratica il ritardo con cui la seconda tendina parte rispetto alla prima - proprio come avviene ancora oggi sulle nostre Leica M a pellicola - è direttamente proporzionale al tempo di scatto desiderato.
Barnack progetta anche un telemetro, o meglio applica alla macchina fotografica le conoscenze sui telemetri che già esistevano, per agevolare la messa a fuoco ora che la fotocamera non ha più sul retro il vetro smerigliato.
Il telemetro non è ancora integrato nella fotocamera ma si applica alla slitta portaccessori, già presente, mentre l’inquadratura avviene attraverso un mirino galileiano
Infine progetta anche un contenitore per la pellicola di nuova concezione - il rullino - che permette di caricare la macchina in piena luce.
A questo punto manca solo un obiettivo dedicato.
La sua vita professionale si incrocia con quella di Max Berek.
Saranno i suoi calcoli ad essere utilizzati per la realizzazione di un obiettivo anastigmatico 50 mm, lunghezza focale corrispondente circa alla diagonale del fotogramma, con apertura massima 3,5.
Finalmente, dopo questo lungo percorso, la macchina fotografica è pronta.
Ma intanto la Germania è stretta nella morsa dell’inflazione post bellica, la povertà è diffusa.
In queste condizioni lanciare sul mercato un oggetto non indispensabile, come una macchina fotografica, può sembrare azzardato.
A differenza di altri industriali Ernst Leitz II° succeduto al timone dell’azienda, prende una decisione contro corrente e decide di produrre la fotocamera.
Dice la storia che le prime Leica furono prodotte a mano e che una di queste accompagnò il titolare dell’azienda durante un suo viaggio in America.
Il dott. Leitz, ascoltando Barnack che gli illustrava la sua idea, sembra, e questa forse è leggenda, gli abbia semplicemente detto: me la faccia provare.
Lo stesso nome che oggi tutti conosciamo sembra sia un’intuizione dello stesso Barnack: LEI-CA acronimo nato dall’unione dei due termini LETZ e CAMERA.
Nel 1923, i primi esemplari, realizzati completamente a mano e numerati da 100 a 130, verranno affidati a fotografi e studiosi di fotografia per un test sul campo. Molti ne danno giudizi entusiasti, ma non mancheranno critiche e perplessità di ogni genere.
Nel 1925 la LEICA I - nota anche come Leica A con riferimento all’obiettivo utilizzato - viene presentata ufficialmente alla fiera di Lipsia.
Il mito entra nella vita di tutti i giorni.
Forse il maggior merito che oggi possiamo attribuire alla figura di Oskar Barnack è quello di avere, con la sua geniale intuizione, capovolto il luogo comune secondo cui la fotografia per essere bella doveva essere grande (forse un retaggio di chi la vedeva come un surrogato della pittura?). Bella e appagante per l’osservatore perché non sottoposta al processo di ingrandimento che la avrebbe degradata, ma stampata direttamente dalla lastra, che più grande era e miglior risultato dava.
Barnack, al contrario dimostrerà che per realizzare immagini belle, e grandi, si può anche partire da un negativo di dimensioni più contenute, purché il supporto sia in grado di registrare una quantità utile di formazioni; e per farlo ci ha dato la LEICA.
OSKAR BARNACK e la mitologia della fotografia
Moderatori: Emilio Vendramin, Riccardox, Massimiliano Liti, Sergio Frascolla, Michele Azzali, Ferruccio Lobba
- Emilio Vendramin
- Site Admin
- Messaggi: 8990
- Iscritto il: mar ago 28, 2007 6:53 pm
- Località: Ancona
- Contatta:
OSKAR BARNACK e la mitologia della fotografia
CIAO - WETZLAR 2011 ... io c'ero.
http://emilio-vendramin-fotografie.weebly.com/
http://emilio-vendramin-fotografie.weebly.com/